Partito Repubblicano Italiano Consociazione Calabria

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Dalla Liberazione alla Repubblica

Dopo la liberazione di Roma il Pri non ebbe altra strada se non quella di ribadire la sua volontà di mantenersi estraneo al Comitato di Liberazione Nazionale, ma riconfermò la sua attiva presenza nei Cln provinciali delle zone occupate, nella convinzione che là dove si trattava di combattere i nazifascisti i repubblicani dovevano essere elemento di

coesione e di unità. Tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 i repubblicani dettero il loro pieno contributo alla lotta di liberazione sia nelle brigate di Giustizia e Libertà sia

nelle formazioni di partito, le Brigate Mazzini. Nell'Italia liberata la politica dei Pri si caratterizzò, invece, per una serrata denuncia dell'indirizzo seguito dai governi dei Cln: una denuncia che non si fondava soltanto sulla pregiudiziale repubblicana, ma traeva motivo dalla considerazione secondo cui non aver interrotto la continuità dello Stato monarchico, del quale era stata per di più mantenuta inalterata la struttura, significava porre il Paese in una condizione non facile rispetto agli Alleati che quella continuità avrebbero fatto valere sul tavolo delle trattative di pace. L'uscita dal conflitto mondiale poneva al Paese grandi e numerosi problemi. Il tessuto economico e sociale dell'Italia era stato troppo a lungo dilacerato dagli anni di guerra, soprattutto nel Nord, dove più cruento era stato lo scontro con le truppe nazifasciste, e dove molte vie di comunicazione erano saltate e molte industrie distrutte. La liberazione restituiva agli italiani, dopo venti anni di dittatura, la libertà di decidere il proprio destino di popolo civile, ma apriva interrogativi ai quali era difficile rispondere se prima non fosse stato definito il problema istituzionale. La posizione intransigente e radicale del Pri sulla questione istituzionale influì non poco a smuovere gli altri partiti che tutti, tranne il Partito d'Azione, sia pure con accenti e motivazioni diverse, si mostravano alquanto possibilisti nei confronti della monarchia. Ma i repubblicani avevano posto sul tappeto un problema fondamentale per il futuro del Paese, sul quale non erano possibili compromessi. E questa linea essi mantennero sino al referendum, rifiutando di partecipare a qualsiasi coalizione di governo, sostenendo che monarchia e fascismo erano a tal punto inscindibili che, fino a quando fosse stato in vita l'una sarebbe stato sempre presente l'altro. Avvicinandosi il referendum istituzionale, i repubblicani, certi della scelta dei popolo italiano, chiamarono le altre forze politiche a confrontarsi, fuori dei dogmatismi ideologici, su quale Italia si dovesse costruire. Nel febbraio del 1946 il Partito repubblicano dedicava i lavori dei suo congresso nazionale all'esame di un Progetto di Costituzione repubblicana dello Stato, elaborato da Giovanni Conti con la collaborazione di Tomaso Perassi durante l'occupazione nazista. Il Progetto riaffermava la necessità di uscire dalle formulazioni vaghe e generiche e indicava quali princìpi da porre a base dei nuovo patto costituzionale: "un mutamento dei rapporti sociali che renda possibile la moralizzazione della vita pubblica"; "la realizzazione dell'autogoverno effettivo della nazione"; "una democrazia realizzata come organizzazione di libertà locali e generali"; "il principio che la sovranità risiede nel popolo degli italiani". Il 2 giugno 1946 è la Repubblica. Il Partito repubblicano, che aveva guidato la battaglia per la Repubblica portava alla Costituente 23 parlamentari; nell'autunno gli eletti della lista della Concentrazione Democratico Repubblicana (nata dalla scissione del Partito d'Azione), Ugo la Malfa e Ferruccio Parri, riconoscendo nel Pri la forza politica che più di ogni altra rappresentava gli ideali di intransigenza democratica che erano stati alla base della nascita dei Partito d'Azione, entravano nel Partito repubblicano. Caduta la monarchia, i repubblicani accettarono per la prima volta di partecipare al governo della nazione assieme ai tre grandi partiti di massa: Cino Macrelli e Cipriano Facchinetti dovevano rappresentarli nel secondo ministero De Gasperi. La Costituente che deve elaborare la Carta fondamentale della democrazia italiana trova in prima fila i repubblicani, gli unici che già durante la Resistenza si siano posti il problema della costruzione dei nuovo Stato democratico. La scelta tra repubblica presidenziale e repubblica parlamentare avviene a favore di quest'ultima, quando l'Assemblea approva un ordine dei giorno presentato dal repubblicano Perassi. La nascita delle Regioni (che dovranno attendere oltre un ventennio per essere realizzate) quale riaffermazione dei princìpi dell'autonomia e dei decentramento contro lo Stato accentratore espressione dei regime monarchico e fascista, è sostenuta vittoriosamente da Giovanni Conti e da Oliviero Zuccarini contro lo stesso Partito comunista che allora si dichiarava contrario alle autonomie

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